E’ stato pubblicato il Working Paper ADAPT n. 11/2022, dedicato all’apprendistato. Quest’ultimo viene letto alla luce del più recente rapporto INAPP-INPS (disponibile alla voce “Report Istituzionali”).

Per consultarlo o scaricarlo, è sufficiente cliccare su questo link: https://moodle.adaptland.it/pluginfile.php/70276/mod_resource/content/0/wp_2022_11_colombo.pdf

Di seguito, si riportano l’abstract e il messaggio del Working Paper.

L’ultimo rapporto Inapp-Inps dedicato all’apprendistato, pubblicato ad agosto 2022, ne certifica la mancata affermazione quale leva per la costruzione dei mestieri a partire dall’integrazione tra formazione e lavoro.
Quando parliamo di apprendistato, in Italia, sostanzialmente parliamo di apprendistato professionalizzante, o di secondo livello, che
sul totale degli apprendistati attivi in Italia nel 2020 ne rappresentava il 97,7%. Manca invece all’appello l’apprendistato duale, introdotto dalla c.d. legge Biagi nel 2003 e mai veramente uscito dalla sua fase di sperimentazione: l’apprendistato scolastico, o di primo livello, è diffuso solo in alcune (poche) regioni, sulla base della presenza – o meno – di radicati sistemi di istruzione e formazione professionale, mentre quello di alta formazione e ricerca, o di terzo livello, conta solo qualche centinaio di contratti attivati nel 2020. Constatata l’assoluta
preminenza dell’apprendistato professionalizzante, e verificata la sua scarsa capacità formativa, risulta evidente l’importanza di valorizzarne proprio quest’ultimo aspetto, impedendo così la riduzione dell’apprendistato a contratto di ingresso incentivato, destinato ai giovani, grazie ad un rinnovato protagonismo sia delle Regioni che, soprattutto, delle parti sociali.

Senza formazione non c’è apprendistato. E senza un “vero” apprendistato, ci priviamo di una leva utile a rispondere a problemi quali il disallineamento di competenze e la mancanza di lavoratori qualificati. L’apprendistato professionalizzante è molto diffuso ma ha uno scarso
valore formativo: si suggerisce allora di potenziarne la componente formativa pubblica in capo alle regioni, triplicandone il monte ore da 120 a 360 ore, per formare competenze non “di base e trasversali” ma “di mestiere”, così da favorire l’occupabilità degli apprendisti, e di valorizzare anche la formazione professionalizzante, interna e in capo al datore di lavoro, grazie ad una sua regolazione collettiva più attenta alle specificità di ogni mestiere, un costante aggiornamento dei profili formativi, il ricorso alla bilateralità (anche) per finanziare queste attività. Decisiva è anche l’introduzione di una certificazione finale, da ottenere previo superamento di una prova di verifica conclusiva. A fronte di queste modifiche, si potrebbe prevedere una riduzione del salario degli apprendisti, anche al fine di distinguerli – ma appunto valorizzando la specificità formativa del loro percorso – dagli altri lavoratori, ed impedire la riduzione dell’apprendistato a contratto di lavoro incentivato destinato ai giovani ma senza una vera componente progettuale e formativa.