Bollettino ADAPT 8 febbraio 2021, n. 5

Tra i principali terreni di lotta delle prime organizzazioni sindacali del diciottesimo e diciannovesimo secolo ci fu quello dell’apprendistato. Si è già visto, grazie alla lezione dei coniugi Webb ([1]), che nell’esperienza inglese l’istituto fu inteso dalle prime Unions come una minaccia ai salari degli operai, co-stretti a competere con giovanissimi apprendisti in-gaggiati a condizioni inferiori. Il contributo di Edward Webster Bemis, Relation of Trades-Unions to Appren-tices, anch’esso ben risalente nel tempo (1891), è utile per indagare se la medesima dinamica si è verificata anche negli Stati Uniti d’America.

Docente di economia all’Università di Economia di Chicago e membro della scuola dell’istituzionalismo americano ([2]), Edward W. Bemis, nell’articolo contenuto nella rivista «The Quarterly Journal of Economics» (fasc. n. 6), procede nella sua riflessione con l’obiettivo di accertare se e come il sindacato statunitense abbia ostacolato l’apprendistato e gli apprendisti. L’originalità dello studio di Bemis, come si vedrà, è innanzitutto metodologica, avvalendosi sia di dati statici ricavati da un questionario tutt’altro che marginale, che ha coinvolto oltre 50 organizzazioni sindacali, sia delle dichiarazioni e interviste dei principali leader sindacali dell’epoca.

L’analisi prende le mosse dalla constatazione che la crisi dell’apprendistato è innanzitutto da ricondurre alle trasformazioni che il lavoro sta attraversando, con l’avvento delle relazioni delle macchine e dell’organizzazione razionale del lavoro ([3]). Come segnala una citazione di W. T. Harris, noto filosofo ed educatore del tempo, riportata da Bemis a pag. 76, «se prima, per imparare un mestiere, erano necessari sette anni –– oggi occorre essere capaci di imparare una nuova mansione in sette settimane». Non a caso, ai tempi in cui scriveva l’Autore, l’apprendistato resisteva in settori come la lavorazione del vetro, lo stampaggio del ferro, la tipografia e l’edilizia, nei quali non era ancora sopraggiunta un’ultra-specializzazione e divisione del lavoro.

Come anticipato, per verificare le ragioni per cui il sindacato ha attirato così tanto “odio” («much odium», p. 77), Bemis si avvale dei risultati di indagini empiriche condotte dai bureau di New York, New Jersey, California, Wisconsin, Ohio, Missouri e Connecticut tra il 1886 e il 1890. I questionari sono stati somministrati a 48 organizzazioni sindacali, cioè quasi la totalità di quelle che operano negli Stati Uniti, i cui iscritti superavano le 500.000 persone.

17 sindacati hanno dichiarato di applicare delle limita-zioni sugli apprendisti, seppur tre di queste registrino una sostanziale disapplicazione in concreto nei vari contesti aziendali. 10 sindacati demandano la scelta di limitare il numero di apprendisti alle organizzazioni territoriali, le quali nel 39% dei casi non procede in alcun modo o predispone regimi che rimangono inattuati. I restanti 21 sindacati, per un totale di 222mila iscritti, cioè il 45% della forza lavoro statunitense, dichiarava di non avere alcuna restrizione in materia di apprendistato.

Le ragioni per cui le unioni sindacali sostengono la limitazione e stringente regolamentazione dell’apprendistato sono due. La prima è quella di garantire la serietà del percorso formativo, la seconda è quella di mantenere (o alzare) i livelli salariali dei la-voratori ordinari. Secondo Bemis, solo il primo argo-mento è da considerarsi valido, non potendosi difendere in alcun modo quelle unions che limitano il nu-mero di apprendisti più di quanto sia necessario alle esigenze formative, per quanto queste scelte possano in qualche modo «scusarsi» se si considerano i pochi mezzi di cui la classe operaia disponeva per migliorare le proprie condizioni ([4]).

Particolarmente attento alle carenze formative dell’apprendistato è ad esempio Mr. Morse, il segreta-rio dei macchinisti che contesta in radice la possibilità che l’apprendista sia formativo nel nuovo contesto aziendale: «anziché trattare correttamente il ragazzo, dandogli la chance di acquisire le fondamenta del mestiere che ha scelto – perché questa è l’unica cosa che pretendo, che ciascun ragazzo, durante il suo apprendistato, abbia la sua buona chance – questo viene messo a qualche macchinario o banco, a seconda del caso, e tenuto lì per tre anni. Ora, signore, le chiedo, come uomo intelligente, a cosa mai servirà quel ragazzo?»  ([5]). Anche il segretario della Brotherhood of Painters and Decorators lamenterà, qualche tempo dopo, l’assenza di valore formativo degli apprendistati moderni che, a suo dire, sono sempre più superati dalle scuole professionali pubbliche o private.

Ben diverso è l’approccio di altri leader sindacali preoccupati non dalla crescita professionale dei più giovani ma dal rischio che la diffusione dei saperi possa penalizzare chi il sapere e l’arte li possiede già. È il caso del sindacato dei lustrascarpe che nel 1885 in Massachussetts contava 6.032 lavoratori ordinari e un solo apprendista. Lo statuto degli Shoe-lasters’ Union vietava agli iscritti la possibilità di insegnare il me-stiere a qualcun altro, ammettendo tuttalpiù che si tramandasse l’arte ai propri figli. Il segretario Mr. Edward L. Daly of Boston considerava un simile divieto come «una necessaria protezione contro il sur-plus dell’offerta di lavoro» ([6]).

Spaventato dalla possibilità che non vi siano restrizioni al numero degli apprendisti è anche J. Fegan, il segretario del Glass Employees’ Association of America, che riteneva che l’abitudine di avvalersi di apprendisti non potesse che portare a una riduzione dei salari: «quando ci sono due o tre uomini per un solo lavoro, la competizione diventa acuta e i lavoratori sono co-stretti dalla necessità ad accettare qualsiasi paga offerta. Nell’industria dell’imballaggio in vetro (a causa della mancanza di organizzazione) è una cosa rara vedere un uomo oltre i trentacinque anni di età» ([7]).

Non a caso, come documentato dalla Broterhood of Carpenters and Joiners, grazia alla limitazione degli apprendisti le paghe salivano effettivamente: nel caso di specie, nel settore dei carpentieri i salari sono aumentati in pochi anni da 1,75 a 3,50 dollari al giorno.

A parer di Bemis le prime unioni operaie si compor-tavano alla stregua delle professioni intellettuali. Queste limitavano la competizione alzando gli stan-dard formativi, le unions imponevano i limiti numerici.

Escluso (o comunque fortemente limitato) l’apprendistato, senza alcuna «colpa» da parte dei sin-dacati ([8]) Bemis si interroga su come formare la manodopera qualificata. L’unica via sembra essere quella della formazione manuale nelle scuole pubbliche, seguita da un’istruzione specifica per ciascun mestiere nelle scuole private o eventualmente pubbliche. Pochi mesi in una scuola di mestieri, seguiti da un breve pe-riodo di pratica, secondo Bemis, valevano più di quattro del “nuovo” apprendistato (in quegli anni, in Germania, da un’intuizione simile nasceva il sistema dell’apprendistato duale).

Il sindacato diffida anche delle scuole professionali, sempre intimorito dalla minaccia di nuova concorrenza. Eppure, secondo l’Autore, «impartendo una maggiore intelligenza e competenza ai lavoratori, tali scuole preparerebbero meglio la strada per sindacati forti e per una maggiore produttività» ([9]).

Ciò che occorre, perché le classi operaie approvino e promuovano la formazione manuale, e che questa sia loro presentata adeguatamente. Arriverà una grande sostegno popolare, conclude Bemis a pagina 92, «non appena le scuole professionali smetteranno di avere tra i lavoratori il sapore di un artificio del capitalismo per ridurre gli stipendi, e assumeranno il loro legittimo posto come strumento di elevazione delle competenze e di formazione completa» ([10]).

Giorgio Impellizzieri

Scuola di dottorato in Apprendimento e innovazione nei contesti sociali e di lavoro

ADAPT, Università degli Studi di Siena

@giorgioimpe

 

[1] M. Colombo, Rileggendo i classici del lavoro/4 – Apprendistato e rappresentanza nella “Storia delle unioni operaie” dei coniugi Webb, Bollettino ADAPT 12 ottobre 2020, n. 37.

[2] L’istituzionalismo americano ebbe tra i suoi principali esponenti John R. Commons. Cfr. D. Porcheddu, Le basi economiche dell’azione collettiva in J. R. Commons, Rileggendo i classici del lavoro/6 – Le basi economiche dell’azione collettiva in J. R. Commons, Bollettino ADAPT 11 gennaio 2021, n. 1.

[3] Sul punto pagine mirabili saranno scritte qualche anno dopo anche in Italia quando la dottrina più autorevole parlò di «corruzione» dell’apprendistato. Cfr. F. Carnelutti, Infortuni sul lavoro, Vol. I, Athenaeum, Roma, 1913, in particolare gli apprendisti nella legge sugli infortuni, pp. 91 ss.

[4] Testualmente, a pagina 87: «The workman is only imitating the trusts and combination of capital, now so common for restricting output, and with more excuse; for the laborer is in more need of improvement of condition that the capitalist».

[5] La traduzione è realizzata dall’autore. Testualmente, a pagina 78: «Instead of dealing fairly with the boy and giving him a chance to get the first rudiments of the trade he has chosen, – for that is all I claim any boy does get during his apprenticeship, be his chance ever so good, – he is put at some machine or bench, as the case may be, and kept there for three years. Now, sir, I ask you, as an intelligent man, what on earth is that boy for good for?».

[6] La traduzione è realizzata dall’autore. Testualmente, a pagina 81: «But, in justifying this rule as a necessary “protection against a surplus of labor in the trade”, the secretary, Mr. Edward L. Daly of Boston, remarks that “the manufacturares teach more apprentices than their business requires”».

[7] La traduzione è realizzata dall’autore. Testualmente, a pagina 78: «If there are no restrictions, and the practice of putting in apprentices is customary, It has a tendency to reduce wages. When there are two or three men for one job, then the competition for positions becomes acute, and workers from necessity are compelled to accept any pay offered. In one branch of the packing industry in glass work (owing to lack of organization) it is a rare thing to see a man over thirty-five years of age» (p. 78)

[8] Letteralmente, a pagina 88: «…through no fault of the unions».

[9] La traduzione è realizza dall’autore. Testualmente, a pagina 91: «Rather, by imparting greater intelligence and skill to the wage worker, such schools would the better prepare the way for strong trades-unions and increased productiveness».

[10] La traduzione è realizzata dall’autore. Testualmente, a pagina 92: «As soon as our trade-schools cease to have the flavor among laborers of a capitalistic effort to reduce wages, and assume their rightful place as a means of effecting that very elevation of skill and thorough training which the apprenticeship laws now in vain urged by the workmen are designed to accomplish, a great popular support will come to these schools».